Chi tira le fila delle rivolte in corso contro il presidente Lukashenko recentemente rieletto in Bielorussia?
In appoggio ai dissidenti si sono mobilitati Polonia e Germania, ma la posizione più dirompente arriva dagli Stati Uniti, che con il Segretario di Stato Pompeo ha ufficialmente disconosciuto il risultato delle urne e preteso la liberazione dei manifestanti arrestati.
Se si aggiunge l’operazione orchestrata dai servizi segreti di Kiev per l’arresto dei 33 contractor russi a Minsk e l’appoggio espresso dai nazionalisti ucraini alle proteste, diventa palese come la rete euro-atlantica già protagonista del putsch di Maidan del 2014 si sia attivata per replicare anche in Bielorussia la medesima destabilizzazione.
A nulla è valso il tentativo di Lukashenko di prendere le distanze da Putin offrendo in estradizione a Zelensky i contractor ex Wagner caduti nella trappola dell’SBU, se non ad alienarsi anche la fiducia del Cremlino.
Con la guerra del Donbass ancora aperta come reagirebbe Mosca all’aprirsi di una crisi analoga anche in Bielorussia?
Il precipitare della situazione a Minsk, che finora aveva svolto il ruolo di camera di decompressione delle tensioni ucraine come sede dei tavoli di pace e triangolazione per aggirare le sanzioni economiche, riaccenderà il conflitto anche in Donbass?
Putin interverrà o consentirà il sempre maggior accerchiamento atlantico alla Federazione Russa?