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Due giorni fa il posto di blocco allestito dalla 128a brigata dell’esercito ucraino nei pressi di Mariupol sul fronte meridionale del Donbass è stato spazzato via dall’artiglieria: il checkpoint è stato attaccato da mortai calibro 120 mm, con 7 miliziani del gruppo nazionalista Pravi Sektor uccisi, due mezzi BMP-2 e un fuoristrada militare bruciati. Ma ad aprire il fuoco sarebbe stata la 93a brigata ucraina, attestata sulle posizioni adiacenti, come riferisce l’intelligence militare della Repubblica popolare di Donetsk, che ha ripreso tutta la dinamica con droni di osservazione.


Alla base della strage sarebbe il regolamento di vecchi conti risalenti all’estate 2015, quando un commando di Pravi Sektor avrebbe ucciso in un’imboscata tre ufficiali della 93a brigata, intenzionati a denunciare un traffico di armi messo su dalla milizia di estrema destra. L’agguato sarebbe poi diventato di dominio pubblico nel 2018, portando i vertici militari ucraini ad allontanare Pravi Sektor dalla prima linea, fino a questo marzo 2021, con la dislocazione di loro militanti in forza alla 128a. Un’occasione di vendetta che la 93a non si sarebbe lasciata scappare.