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Ballottaggio in vista per il Cile, dove questa domenica, 19 dicembre, i cittadini saranno chiamati alle urne per decidere il nome del nuovo presidente.

Il primo turno delle elezioni presidenziali, svolto il 21 novembre scorso, ha visto imporsi il candidato conservatore José Antonio Kast con il 27,9% dei consensi e l’ex leader studentesco Gabriel Boric con il 25,8% dei voti: saranno costoro a sfidarsi al secondo turno elettorale.

I due candidati sono riusciti a sbaragliare la concorrenza della classe dirigente che ha egemonizzato la politica cilena dopo la fine del governo di Pinochet. Tanto il candidato della destra liberale Sebastian Sichel, quanto la coalizione progressista sono usciti sconfitti, infatti, da questa tornata elettorale.

SVOLTA STORICA
I due candidati al ballottaggio si sono posti entrambi in forte contrasto alla classe politica cilena del post-Pinochet, ormai già delegittimata politicamente dai risultati delle elezioni per l’Assemblea costituente del maggio 2021.

Infatti, in quelle elezioni, furono i candidati di sinistra slegati dal Partito Socialista del Cile e gli indipendenti a ottenere il maggior numero di consensi.

Fra le ragioni che possono spiegare questa caduta di popolarità dei partiti “tradizionali” cileni, quella di maggior peso è, senza dubbio, il mantenimento del sistema socioeconomico pinochetista.

Dopo la presa del potere dei militari insorti contro il governo di Salvador Allende nel settembre 1973, Pinochet instaurò in Cile un sistema socioeconomico liberista, fatto di privatizzazioni di varie industrie statali e di drastica riduzione della spesa pubblica, rimasto, nella sostanza, immutato sino ad oggi.

Il risultato di queste politiche liberiste, pertanto, fu sì una discreta crescita del Pil, una modernizzazione della struttura produttiva cilena e una minore dipendenza dalle oscillazioni del prezzo internazionale del rame, ma a tutto ciò si accompagnò un forte aumento dei tassi di povertà e di sperequazione delle risorse.

Per quanto nella destra politica cilena che appoggiò l’ascesa al potere di Pinochet non fossero estranei sostenitori del corporativismo e istanze di giustizia sociale, come ad esempio nel movimento gremialista o nel Fronte Nazionalista Patria e Libertà, Pinochet, nel suo operato di governo, si affidò ad economisti della scuola monetarista di Milton Friedman e mise in soffitta queste pulsioni sociali della destra cilena.

Oggi, in un paese in cui l’1% della popolazione detiene il 26,5% della ricchezza e il 50% più povero solo il 2% e in cui l’indebitamento privato raggiunge il 70% degli abitanti, la popolazione del paese latino-americano mette sotto accusa le diverse coalizioni di governo che si sono alternate dopo la caduta del regime militare, colpevoli di non aver traghettato il Cile verso un nuovo modello economico e sociale.

I CANDIDATI A CONFRONTO
Per quello che riguarda i due candidati che si sfideranno al ballottaggio del prossimo 19 dicembre, se Boric promette di avviare il Cile verso un sistema economico e sociale diverso da quello attuale, in cui lo Stato assuma una presenza più forte in campi come la sanità e le pensioni, lo stesso non può esattamente dirsi per José Antonio Kast.

Il candidato repubblicano José Antonio Kast

Il candidato del Partito Repubblicano, formazione politica fondata nel 2019 dallo stesso Kast, ha ottenuto un importante consenso da parte di quei settori della società cilena spaventati dalle proteste che hanno infiammato il paese sudamericano dal 2019.

Durante la sua campagna elettorale Kast ha posto l’accento su problematiche quali l’immigrazione e la criminalità, sostenendo di voler riportare l’ordine in Cile.

Inoltre, ha criticato la realtà politica di paesi come il Venezuela e Cuba, e recentemente ha avuto un incontro con il senatore statunitense repubblicano Marco Rubio, da cui si può desumere, pertanto, una vicinanza a certo mondo politico statunitense.

Quello che, soprattutto, è importante sottolineare circa la proposta politica del candidato conservatore, è la sua volontà di diminuire la spesa pubblica, tant’è che, come ha riportato il quotidiano argentino “La Nacion”, propone di mantenere il sistema pensionistico privato vigente oggi nel Paese.

In passato, Kast ha affermato di non disprezzare i risultati economici del regime militare che governò il paese latino-americano dal 1973 al 1990, anno in cui entrò in carica il presidente democristiano Patricio Aylwin.

Al tempo stesso, però, solo nel 2020 la gran parte degli elettori cileni (circa il 78%) ha votato per modificare la costituzione pinochetista del 1980, con la speranza che al cambiamento costituzionale sarebbe seguito anche un cambiamento dell’assetto socioeconomico del Paese.

Il 19 dicembre si vedrà, quindi, quale dei due candidati uscirà vittorioso. L’unica certezza è che, in ogni caso, in Cile si apre una fase nuova, lontano dalla guida del ceto politico protagonista della transizione democratica.

Matteo Boniello