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Il governo comunista di Pechino aveva promesso che non si sarebbe più verificata una situazione simile al 2019, quando alle elezioni locali di Hong Kong il 90% dei voti era andato al fronte anticomunista. Promessa mantenuta: «Le elezioni sono aperte ai soli patrioti cinesi, senza che ci siano campagne di calunnie montate da forze esterne».

Il governo, attraverso una Legge sulla sicurezza nazionale introdotta nel 2020, si è assicurato che tutti i 20 seggi del Legislative Council (il Parlamento locale) messi in palio con suffragio popolare andassero a soli politici fedeli al Partito Comunista cinese.

Il nuovo sistema elettorale, oltre ad assegnare solo 20 seggi con consultazione popolare, regola che ulteriori 40 seggi siano assegnati da una Commissione elettorale di 1448 membri fedeli a Pechino e che altri 30 siano occupati da personalità scelte dalle corporazioni degli affari e del commercio della ex colonia britannica.

Con queste premesse i candidati che si sono presentati per competere per i 90 seggi disponibili sono calati dai 289 del 2016 ai 153 di oggi. A calare è anche e soprattutto l’affluenza generale ai seggi: su 4,5 milioni di cittadini di Hong Kong con diritto di voto solo il 30% si sarebbe recato a votare, secondo i dati preliminari.

Il Congresso cinese

Il Congresso cinese

Il risultato che esce dalle urne è che in Cina gli oppositori al dominio della falce e martello sono destinati all’esilio(molti leader delle proteste del 2019 sono fuggiti all’estero) o alla prigione.

Nel gennaio scorso 50 membri dell’opposizione sono stati arrestati dalla polizia e da allora non si conosce il loro destino. Questo è il prezzo per delle elezioni “svolte con il massimo ordine”.