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Sono 120 le basi militari Nato e Usa dislocate sul territorio italiano, secondo accordi e procedure stipulati da decenni. A cominciare dal 1949, anno in cui l’Italia, uscita sconfitta dalla Seconda guerra mondiale, firmò il Patto atlantico per la sicurezza basata sulla mutua difesa. Allora, e per tutto il periodo della guerra fredda, l’avversario da contrastare era l’Unione Sovietica.
Ma l’organizzazione delle basi in Italia ha continuato a funzionare e, anzi, si è articolata e arricchita anche dopo il 1991, rafforzando i rapporti con l’Onu, che alla Nato ha attribuito funzioni di peacekeeping nelle aree instabili, come la ex Jugoslavia.
Ora, con i venti di guerra che soffiano dall’Ucraina, la rete di sicurezza internazionale è in mobilitazione e le stesse forze armate italiane sono in stato di allerta. Le basi militari della Penisola, infatti, mantengono un ruolo strategico in caso di conflitto con la Russia, e ospitano alcune delle circa cento testate nucleari distribuite in tutta Europa.
Le principali si trovano ad Aviano (Pordenone), dove l’aeroporto è una struttura militare italiana ma è utilizzata dall’aeronautica statunitense ed è una base congiunta anche della Nato, e a Ghedi (Brescia), che è a gestione italiana, anche se le bombe atomiche sono americane: in base agli accordi Nato, da qui potrebbero partire gli aerei italiani per sganciare gli ordigni.
Allo stesso modo, in caso di attacco nucleare, le basi Nato sul territorio italiano sarebbero tra i primi obiettivi ad essere colpiti.