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La richiesta di un sostegno concreto, cioè «armi e finanziamenti», da parte del governo ombra del Myanmar nei confronti della comunità internazionale è solamente l’ultimo capitolo di una vicenda iniziata con il colpo di stato del 1° febbraio 2021.

La struttura “parallela”, che vorrebbe per la ex Birmania la stessa attenzione che l’Occidente rivolge al popolo ucraino in guerra con la Russia, riunisce tutte le forze di opposizione alla giunta militare che ha preso il potere nel paese asiatico proprio con il golpe dell’anno scorso.

 

IL COLPO DI STATO DEL FEBBRAIO 2021

Il colpo di stato ha visto l’esercito del Myanmar, guidato dal generale Min Aung Hlaing, rovesciare il precedente governo, eletto democraticamente con le elezioni legislative del 2020. Il partito fondato dalla leader e premio Nobel per la pace (vinto nel 1991 per l’impegno nella difesa dei diritti umani in Birmania) Aung San Suu Kyi, la Lega Nazionale per la Democrazia(LND), si era affermato sul rivale Partito dell’Unione della Solidarietà e dello Sviluppo, vicino all’esercito e sconfitto alle urne, dove ha conquistato soltanto poche decine di seggi.

Il 26 gennaio 2021 il risultato del ballottaggio è stato duramente contestato da Min Aung Hlaing, già capo delle forze armate, che ha chiesto la riverifica altrimenti l’esercito sarebbe intervenuto per risolvere la crisi politica in corso.

Da qui il colpo di stato e l’istituzione della giunta militare a capo del Myanmar guidata proprio dal comandante in capo delle forze armate. Il Tatmadaw, l’esercito del Myanmar, ha in quell’occasione arrestato proprio Aung San Suu Kyi, al tempo Consigliere di Stato,  il presidente Win Myint e altri leader del partito al governo, dichiarando anche lo stato di emergenza della durata di un anno.

 

AUNG SAN SUU KYI, LA LEADER BIRMANA ANCORA AGLI ARRESTI

Ancora detenuta dopo la condanna con le accuse di corruzione, importazione e possesso illegale di walkie-talkie, violazione delle leggi sui disastri nazionali, sul segreto di Stato e sull’emergenza Covid, Aung San Suu Kyi ha ricevuto il formale “perdono” da parte del capo della giunta militare Hlaing, che ne ha ridotto la pena da 4 a 2 anni.

Quella della leader birmana è una vita segnata dalla difesa dei diritti umani nel suo paese e dall’opposizione ai regimi militari: era il 1989 quando, tornata in Birmania dopo molti anni trascorsi all’estero, fu posta per la prima volta agli arresti.

Una condizione che non impedì alla Lega Nazionale per la Democrazia, partito da lei fondato l’anno prima, di conquistare l’81% dei seggi. Anche in quel caso, come analogamente avverrà anni dopo nel 2021, i militari rifiutarono di cedere il potere e annullarono le elezioni.

Nel 2003 Suu Kyi riuscì a sfuggire ad un attentato nel quale persero la vita circa 70 sostenitori dell’LND, per poi essere nuovamente arrestata e trascorrere quasi 15 anni tra carcere e arresti domiciliari. Nel 2010 la definitiva scarcerazione, con l’ascesa al potere in Myanmar (non priva di controversie, come quella relativa alle persecuzioni della minoranza musulmana dei Rohingya) e di nuovo l’arresto nel 2021.

 

LA GIUNTA MILITARE E L’OMBRA DELLA CINA

Il nuovo governo del generale Hlaing, in carica appunto dal 2021, oltre al sostegno delle forze armate birmane godrebbe anche di un importante appoggio esterno: in Cina il colpo di stato dei militari è stato presentato all’opinione pubblica come “un grande rimpasto di governo” e proprio Pechino, nell’ambito del Consiglio di sicurezza dell’Onu, ha bloccato una risoluzione di condanna nei confronti della giunta militare birmana dopo la presa del potere nel 2021.

All’origine delle scelte di Pechino, sempre più determinato a far valere la propria influenza sulla regione asiatica e nell’intero contesto internazionale, ci sarebbero profondi interessi strategici ed economici. Sebbene la Cina non si sia schierata ufficialmente né con i militari né con Aung San Suu Kyi in nome del principio guida della sua politica estera che teorizza la “non interferenza” negli affari interni degli altri Paesi, infatti, è noto che proprio il colosso dell’estremo oriente sia primo partner commerciale del Mynamar e secondo investitore straniero. In ballo, poi, ci sarebbe anche il progetto di creare un corridoio infrastrutturale che colleghi le sue regioni meridionali all’Oceano Indiano.

 

L’OPPOSIZIONE MILITARE DEI KAREN

In questo già complicato contesto, continua a consolidarsi il potere della minoranza di etnia Karen nelle regioni meridionali del Myanmar.

È notizia delle scorse settimane infatti che la Karen National Union, l’apparato di governo dei Karen, ha emesso avvisi ed ordinanze in cui rispettivamente si chiede ai residenti delle cittadine di Kyaukkyi e Mone, nella regione orientale di Bago, di mettersi a disposizione per una varietà di funzioni amministrative e, al tempo stesso, con cui si vietano l’uso di droghe e il gioco d’azzardo nelle due città.

Si tratta di piccoli ma importanti segnali che rappresentano la graduale normalizzazione del governo Karen nella regione, dove la Terza Brigata dell’Esercito di liberazione nazionale Karen (KNLA) si è scontrato più volte con le forze governative del Myanmar nella contesa per il territorio, a partire dal periodo immediatamente successivo al colpo di stato del 2021.