Trasformismo, compromessi al ribasso, ingovernabilità, clientelismo, mercanzia dei listini elettorali e dei seggi più “sicuri”: tutti i vizi tipicamente italici della prassi politica rischiano di presentarsi nuovamente – e al massimo grado – nel futuro prossimo. Per le elezioni del 25 settembre, infatti, la (vecchia) legge elettorale – il Rosatellum – può ricostituire un Parlamento frammentato, privo di una maggioranza numericamente consistente e qualitativamente precisa, ossia connotata da uno specifico “colore” politico.
Il Rosatellum prevede un sistema elettorale misto: il 61% e il 37% dei seggi vengono ripartiti, rispettivamente, secondo una modalità proporzionale e maggioritaria. Il restante 2% dei seggi viene assegnato dalle circoscrizioni estere. Nello specifico, il 61% dei seggi vengono ripartiti proporzionalmente sulla base dei voti ottenuti dai partiti e dalle coalizioni su tutto il territorio nazionale; il 37% dei seggi vengono invece assegnati al partito o alla coalizione in grado di raggiungere la sola maggioranza relativa dei voti di una specifica area territoriale (l’intera superficie nazionale viene divisa in 148 collegi). In entrambi i casi, i partiti e le coalizioni indicano il nome del proprio leader, un listino bloccato dei candidati ai seggi ripartiti in maniera proporzionale e il nome del candidato del collegio uninominale (quest’ultimo può apparire in un massimo di cinque collegi). L’elettore, di conseguenza, non può esprimere alcuna preferenza (né voti disgiunti) e si ritrova in balìa di una scheda elettorale minuziosamente organizzata dagli esponenti dei partiti tra compromessi e manovre di corridoio.
Per quanto riguarda le soglie di sbarramento, le singole liste e le coalizioni devono raggiungere, rispettivamente il 3% e il 10% dei voti per beneficiare dell’assegnazione dei seggi della Camera. I partiti di una coalizione che non hanno raggiunto il 3% dei consensi riversano i propri voti, in maniera proporzionale, alle altre liste della coalizione (una percentuale dei voti inferiore all’1% viene invece completamente persa). Per tutelare i partiti fortemente radicati sui territori (ad esempio il Südtiroler Volkspartei in Alto Adige) è prevista, inoltre, una soglia del 20% dei voti espressi in una singola Regione (e in quest’ultimo caso verrebbero ripartiti i seggi del Senato).
Al di là del gioco di ripartizione dei seggi spiccano tre incognite. La prima è la riduzione del numero dei parlamentari: i deputati e i senatori non saranno più, rispettivamente 630 e 315 ma 400 e 200. In secondo luogo, l’elettorato attivo comprenderà interamente tutti i cittadini di maggiore età e, per l’esattezza, anche i cittadini di 18 anni potranno votare per la prima volta per i candidati al Senato. Infine verrà costruito, di conseguenza, un nuovo disegno dei collegi nella ripartizione dei seggi secondo il sistema maggioritario. La questione è complessa e può fortemente inficiare l’esito elettorale. Il voto delle aree territoriali è spesso fortemente connotato: si pensi alle contrapposizioni tra città e campagna e tra centro e periferia. Di conseguenza, un sapiente tracciato dei confini di uno o più dei 148 collegi elettorali (accorpando o dividendo, ad esempio, i quartieri centrali o periferici di una città) può creare ad arte la maggioranza relativa decisiva per la conquista del seggio e orientare preventivamente gli accordi dei partiti per le candidature più o meno “sicure”.
Più in generale il dialogo tra le parti politiche continuerà, con tutta probabilità, a ricoprire il ruolo da protagonista. Il Rosatellum ha già dato vita al Parlamento del 2018, contraddistinto da un quadro tripartito (Centrodestra, M5S e Centrosinistra) e privo di una solida maggioranza. La formazione delle coalizioni pre-elettorali e dei listini bloccati, inoltre, non ha impedito ai partiti di rinnegare la fedeltà alla propria alleanza né ai singoli di “cambiare casacca” nel corso della legislatura. Il Movimento 5 Stelle, il caso più evidente, ha espresso governi con le forze politiche più disparate e ha visto rinsecchire le sue fila dei parlamentari con sempre più fuoriusciti. Prima e dopo le elezioni, dunque, sono sempre i partiti a reggere il timone della cosa pubblica del Paese all’insegna del trasformismo, del clientelismo e di tutti gli altri vizi politici tipicamente italici. A differenza del passato, però, occorre nutrire pessimisticamente la certezza che a ricoprire il ruolo di salvatori della patria non saranno sicuramente i tecnici.
Il Ricercatore