È di oltre 30 morti e centinaia di feriti il bilancio delle sommosse che da lunedì hanno interessato Baghdad. Ad organizzare le rivolte, dirette verso la Green Zone della città (area di massima sicurezza all’interno della quale si trovano i palazzi istituzionali), sono stati i seguaci di Moqtada al-Sadr, leader sciita da oltre vent’anni tra le figure politiche principali dell’Iraq. A generare le tensioni tra sadristi e filo iraniani, al seguito delle quali è stato imposto il coprifuoco in tutto il Paese, è stato l’addio definitivo alla politica annunciato da Moqtada su Twitter: solamente il suo intervento nella giornata di ieri ha permesso di placare la violenza nella capitale irachena. Ma chi è e qual è la storia che una figura centrale per la politica irachena come quella di Moqtada al-Sadr porta alle spalle?
UNA VITA DA “MARTIRE”
Fervente nazionalista e acceso populista, il 48enne Moqtada al-Sadr è figlio di una delle più famose famiglie di “martiri” del Paese. Il suo attivismo infatti è figlio di una sanguinosa storia familiare: il padre, il celebre Grande Ayatollah Mohammed Sadeq Al Sadr, venne ucciso nel 1999 insieme a due fratelli di Moqtada in un agguato imputato alle squadre di Saddam Hussein. Quasi vent’anni prima era stato suo suocero, il Grande Ayatollah Mohammed Baqer al-Sadr, a perdere la vita, giustiziato nel 1980 per la sua opposizione al dittatore.
L’INVASIONE USA E LA BATTAGLIA DEI PONTI DI NASSIRYAH
All’arrivo delle truppe americane, Moqtada dà vita all’esercito del Mahdi, in grado di sferrare sanguinosi attacchi durante i quali cadono numerosi soldati Usa. Negli anni successivi le tecniche di combattimento dei sadristi trovano nuova applicazione nel corso di durissimi scontri settari con i sunniti.
Celebre anche lo scontro delle milizie sadriste contro l’esercito italiano, in quella che è ricordata come il maggiore scontro a fuoco sostenuto da reparti militari italiani dalla fine della Seconda Guerra Mondiale. Si tratta della “battaglia dei ponti di Nassiryah” durante la quale, nell’aprile del 2004, il comando italiano sconfisse le milizie sadriste che nei giorni precedenti si erano impossessati dei tre ponti sull’Eufrate che facevano di collegamento con la città di Nassiryah, base del contingente occidentale in Iraq.
L’ESILIO VOLONTARIO
Nel 2007 al-Sadr lascia il Paese e si trasferisce in un seminario teologico a Qom, in Iran, mantenendo tuttavia la direzione dei suoi uomini sul campo. L'”esilio” volontario si conclude nel gennaio 2011, quando Moqtada gioca un ruolo determinante nella nomina di Nouri al-Maliki come nuovo premier dell’Iraq: un impegno ripagato nei confronti dei sadristi, che ricevono una serie di incarichi governativi. Dopo il ritiro delle truppe Usa, il leader sciita si esprime contro il settarismo e si concentra su un messaggio nazionalistico aperto anche a sunniti, comunisti e liberali.
Quando nel 2014 è l’Isis ad irrompere sulla scena, al-Sadr non esita a ricostituire la sua milizia, ribattezzata ora “Brigata della pace”, schierandola al fianco dell’esercito iracheno nella coalizione a guida americana contro lo Stato Islamico.
L’INSTABILITÀ POLITICA
Insieme all’impegno sul campo di battaglia continua anche quello nella politica irachena: nel 2018 il movimento sadrista “Sairoon” conquista più seggi di qualunque altra formazione, non riuscendo tuttavia a formare il nuovo governo. Inizialmente Moqtada sostiene Haider al-Abadi come premier, ma dopo mesi di stallo politico si accorda con l’opposizione in favore dell’indipendente Adel Abdul Mahdi. La crisi politica in cui versa l’Iraq tuttavia prosegue anche negli anni successivi, punteggiata da dure proteste di piazza, mentre nei palazzi del potere si cerca un’impossibile quadra tra influenze e appetiti. Le elezioni nell’ottobre 2021 non riescono a modificare il quadro: sebbene i sadristi emergano come la fazione dominante, ottenendo il maggior numero di seggi (73), non raggiungono la maggioranza e ancora una volta non riescono a formare un governo a causa di forti contrasti con i rivali sciiti – sostenuti dall’Iran – del Coordination Framework Alliance.
Ancora oggi, come è diventato evidente nei giorni scorsi, la figura di Moqtada gode di un enorme seguito tra gli sciiti, che lo vedono come eroe e paladino contro la corruzione, uno dei suoi principali cavalli di battaglia. La sua figura è talmente nota da essere stata riprodotta su centinaia di poster, murales e volantini. Moqtada si mostra sempre con il turbante nero, per sottolineare la linea diretta che lega la famiglia a quella del profeta Maometto. In due decenni le sue posizioni sono cambiate di molto ma, nonostante le fasi alterne, al-Sadr mantiene una posizione centrale con la quale la politica irachena è costretta a fare i conti. Sebbene le sue creature politiche da anni partecipino alla gestione del Paese, il leader sciita è allo stesso tempo sostenitore delle proteste anti-governative che hanno portato migliaia di persone, soprattutto giovani, a scendere in piazza contro le condizioni di vita impossibili, la corruzione, la mancanza di lavoro, i servizi inesistenti.
LE SOMMOSSE DEI GIORNI SCORSI
L’addio “definitivo” di Moqtada alla politica, annunciato su Twitter insieme a un duro attacco a coloro che hanno scelto di tenersi la poltrona invece di lavorare per mettere fine allo stallo e attuare le indispensabili riforme, è foriero di nuove tensioni e violenze: migliaia di suoi sostenitori, da un mese accampati fuori dal Parlamento, nei giorni scorsi hanno fatto irruzione nel palazzo della Repubblica. Solo le parole del leader sciita sono riuscite a placare – almeno momentaneamente – le violenze a Baghdad: «Sono molto rattristato per quello che sta accadendo in Iraq – ha detto al-Sadr – offro le scuse al popolo iracheno per quello che è successo». Sebbene, ha rimarcato il politico iracheno, «la nostra patria è ora prigioniera della corruzione, la rivoluzione non si fa con le armi: le proteste devono rimanere pacifiche». Un intervento, quello di al-Sadr, che suggerisce come nonostante il formale ritiro dalla politica il leader sciita detenga ancora un notevole potere in Iraq.