Liz Truss, la paladina pro-Ucraina che negli scorsi mesi si era detta pronta all’uso delle armi atomiche britanniche, da oggi sarà il nuovo premier del Regno Unito. Una notizia che non arriva a sorpresa, visti i sondaggi che davano la fan di Margaret Thatcher ampiamente in testa alle primarie dei Tories, ma destinata a scuotere la politica (soprattutto) europea, in uno spartiacque sulla posizione da tenere nei confronti del conflitto russo-ucraino.
Quarantasette anni, ministro degli Esteri in carica, Truss ha vinto le primarie diventando così la nuova leader del Partito Conservatore britannico – la terza donna nella storia del Regno Unito – subentrando al dimissionario Boris Johnson, costretto a farsi da parte a luglio sull’onda di scandali e congiure interne Tory.
A nulla è valsa la campagna elettorale del suo rivale, l’ex cancelliere dello Scacchiere di radici familiari indiane Rishi Sunak, sconfitto nel ballottaggio finale deciso dal voto postale degli iscritti. Ora al futuro della Gran Bretagna dovrà pensare Truss, in un momento in cui la situazione economica ed energetica è sempre più critica. I dati pubblicati dal “The Sun” parlano chiaro: bollette aumentate dell’80%, prezzo del cibo del 10,5%.
Una corsa al rialzo che con il protrasi della guerra russo ucraina può solamente aumentare e dalla quale la Truss ha ribadito chiaramente di voler uscire soltanto con la sconfitta finale della Russia. Nessun passo indietro, ad ogni costo.
Chi invece dovrà decidere quale linea tenere nei prossimi mesi saranno i suoi colleghi dell’Unione Europea, che seppur netti (sulla carta) nel posizionamento anti-russo, vedono da qualche settimana suonare campanelli d’allarme preoccupanti in tutto il continente.
A Praga 70mila persone (dati della polizia) hanno chiesto le dimissioni del governo conservatore ceco, accusandolo di sottomissione all’Unione Europea, e hanno protestato contro la Nato e le sanzioni imposte alla Russia per la sua invasione dell’Ucraina. I manifestanti, chiamati dai partiti di opposizione e da altre organizzazioni, hanno chiesto la neutralità nella guerra, in opposizione all’esecutivo ceco che invece da febbraio ha adottato una chiara posizione di sostegno politico e militare a Kiev. Sul podio della centralissima piazza Venceslao, nella capitale, si sono avvicendati rappresentanti di formazioni extraparlamentari comuniste, euroscettici e ultranazionalisti, che seppur bollati come Filo-russi dal presidente ceco Fiala, hanno conquistato una folla di cittadini comuni stufi di vedere i prezzi schizzare alle stelle.
In Italia, un sondaggio pubblicato da “Termometro Politico”, fissa al 51% la percentuale di italiani che vorrebbero la cancellazione delle sanzioni alla Russia ed il caro-bollette è una bomba ad orologeria pronta ad esplodere nelle mani del prossimo Esecutivo. Sulla postura internazionale del Paese i partiti in corsa per le elezioni del 25 settembre si danno battaglia, ma su questo aspetto la leader di Fratelli d’Italia Giorgia Meloni (in testa nei sondaggi e probabile futuro premier) è stata chiara nel ribadire il proprio posizionamento filo-Nato e contrario alla cancellazione delle sanzioni.
«I Tories sono tra i fondatori della famiglia dei Conservatori europei che mi onoro di presiedere – ha commentato Meloni dopo la vittoria di Truss – e sono certa che, insieme a lei, sarà possibile rafforzare la nostra già consolidata collaborazione politica e culturale».
Italia, Polonia, Repubblica Ceca (tutte nazioni guidate dai conservatori, o in procinto di esserlo), insieme alla Gran Bretagna, si accingono così a rappresentare l’ala “dura” del fronte filo-ucraino, in contrasto (poco velato) con la linea di Germania e Francia, decisamente più recalcitranti ad essere coinvolte nel conflitto e subirne le conseguenze.
Se alla fine a prevalere sarà la linea oltranzista, o se le pressioni interne dell’opinione pubblica finiranno per presentare il conto ai governi pro-sanzioni, lo dirà l’inverno.