In Libano il caos dilaga tra l’economia al collasso, i conti correnti bancari sospesi e le tensioni sociali ai massimi livelli. Ancora una volta le libertà individuali e i diritti sociali vengono negati e sacrificati alle “ragioni” dell’economia. E, ancora una volta, serpeggiano le ombre sulla buona fede del mondo della politica e su presunti rapporti di favoritismo tra i tecnocrati.
I fatti delle ultime settimane dal “fronte” libanese hanno ricevuto un discreto livello di attenzione da parte dei media occidentali. Nella memoria dei lettori più vicini, d’altronde, sono ancora ben impressi i ricordi legati alle tensioni sociali (prima con l’emergenza pandemica e successivamente con la guerra in Ucraina), alle proteste in piazza, alle libertà negate e, nel caso del Canada, al congelamento dei conti correnti dei protestanti antisistema. Episodi simili, ma con tratti di esasperazione maggiore, sono ormai all’ordine del giorno in Libano, in un quadro sociale ed economico caratterizzato da una moneta locale svalutata del 90% e da una popolazione ridotta in povertà per l’80% e vessata dai divieti di poter usufruire dei propri conti correnti bancari.
Venerdì scorso, ad esempio, un cinquantenne e il proprio figlio hanno fatto irruzione in una filiale della Byblos Bank a Ghazieh (la principale città del Libano meridionale a sud di Sidone) con un’arma finta e una tanica di benzina per riappropriarsi dei propri risparmi. I due “assalitori” sono riusciti a recuperare una discreta somma, 19.000 dollari, e a consegnarla a un parente prima di incappare nelle forze dell’ordine. Nei giorni precedenti, invece, una donna di 28 anni ha disperatamente prelevato con la forza parte dei propri risparmi – 13.000 dollari – da una banca di Beirut per pagare le cure della sorella malata di cancro. Nella stessa città un uomo, con fucile alla mano e l’acclamazione della folla, ha fatto irruzione in un ufficio per reclamare i suoi 200.000 dollari, utili a far fronte alle spese ospedaliere di un proprio parente. La vicenda si è conclusa con la restituzione di soli 30.000 dollari e con la buona volontà delle autorità di non intraprendere azioni legali. Un terzo e recente episodio si è verificato, invece, ad Aley, a nord-est di Beirut. In tutti i casi l’istinto di sopravvivenza ha avuto la meglio sull’ordinamento legislativo, la forza della disperazione ha fortificato gli animi di persone comuni e la folla circostante ha solidarizzato con gli assalitori.
La crisi economica del Libano ha avuto inizio negli ultimi mesi del 2019. Nel marzo 2020 il governo ha dichiarato bancarotta non riuscendo a pagare la tranche da 1,2 miliardi di dollari relativa un Eurobond di 30 miliardi emesso nel 2010. Da allora sono entrate in vigore una serie di misure di controllo sui movimenti di capitali e di divieti di accesso ai depositi in valuta. Stando ai numeri dell’Agenzia per le statistiche del Libano, la povertà è raddoppiata tra il 2019 e il 2021, l’inflazione ha raggiunto il 210% lo scorso giugno, il prodotto interno lordo reale è diminuito del 10,5% nel 2021 e del 21,4% nel 2020, la moneta locale ha subito una svalutazione del 90% sul mercato nero, il debito pubblico ha superato i 100 miliardi di dollari nel 2021 (pari al 212% del Pil).
Le previsioni di Fitch Solutions per l’anno corrente non promettono, invece, alcuna ripresa: il Pil probabilmente diminuirà ancora del 6,5% e l’inflazione passerà dal 155% al 178% rispetto il 2021 (quest’ultimo dato si attesta tristemente ai vertici della classifica mondiale, dietro al solo Sudan).
In questo caos finanziario sono traboccate accuse e sospetti. Secondo alcuni analisti, ad esempio, politici e alti funzionari di banca avrebbero spostato miliardi di dollari su conti esteri; i risparmi dei cittadini sulle banche private sarebbero finiti alla Banca centrale che, a sua volta, avrebbe girato ingenti somme di denaro allo Stato. Nell’occhio del ciclone delle polemiche si troverebbe Riad Salameh, governatore della Banca centrale e uno degli autori della misura relativa il congelamento dei conti correnti privati.
«Sono in corso – le parole di Dina Abou Zour, avvocato e membro fondatore dell’Unione dei depositanti in Libano – delle indagini da parte delle autorità svizzere. La magistratura internazionale farà il suo corso se le autorità locali continueranno a non intervenire». «Mi riferisco, ovviamente, – prosegue Abou Zour – alle poco limpide politiche di sospensione dei conti correnti bancari privati e ai trasferimenti delle ingenti somme di denaro su conti esteri da parte di Salameh e dei suoi collaboratori alla vigilia della catastrofe economica».
Le vittime dei tecnocrati e dei politici sono, ancora una volta, i meno abbienti e i giovani. Secondo un rapporto dell’Unicef del gennaio 2022, la crisi libanese sta costringendo sempre più giovani a impegnarsi in lavori sottopagati e irregolari per la mera sopravvivenza. Migliaia di persone partono, nel frattempo, verso il mare con barconi improvvisati e solo il 25% di essi – stando ai dati divulgati dal portale Atalayar – riesce a eludere i blocchi delle autorità e a raggiungere le coste cipriote. Lo scorso aprile un barcone è affondato al largo delle coste di Tripoli, nel nord del Paese, e ad oggi 33 persone (quasi la metà dei presenti a bordo) risulta ancora dispersa in mare. Resteremo “umani” anche di fronte a queste tragedie?
Il Ricercatore