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C’è anche il danneggiamento dei due gasdotti (Nord Stream e Nord Stream 2) nell’escalation che fa seguito al conflitto russo-ucraino e che coinvolge anche Nato ed Unione Europea.

Proprio quest’ultima pare essere la vera e propria vittima della manomissione delle due stringhe di pipeline, che si sono trovate a versare in mare quello stesso gas di cui il Vecchio Continente ha oggi disperatamente bisogno. E per il quale gli stessi paesi europei, negli anni, avevano contribuito a pagare realizzando l’infrastruttura oggi colpita dall’attacco per mano (attualmente) di ignoti.

Mentre il gasdotto Nord Stream 2 infatti è al 100% di proprietà della russa Gazprom, sebbene la sua costruzione sia stata finanziata al 50% dagli europei, il 49% delle quote di Nord Stream appartengono complessivamente alle aziende tedesche Wintershall Dea e E.ON (15,5% ciascuna), all’olandese Gasunie (9%) e alla francese Engie (9%). Il restante 51% è russo.

Appare ancora più chiaro, quindi, che gli autori del sabotaggio (siano essi gli Stati Uniti, per mano ucraina o polacca, o la Russia) giochino ancora una volta sulle debolezze europee per tirare acqua al proprio mulino.

 

L’IPOTESI AMERICANA

L’attacco ai due gasdotti, condotto tra l’altro all’interno delle acque territoriali europee, è senza dubbio frutto di un’operazione tutt’altro che improvvisata, portata a termine con l’utilizzo di uomini e mezzi quali sommozzatori e almeno un sottomarino.

Un’ipotesi, suggerita anche dal presidente russo Vladimir Putin nel suo discorso durante la cerimonia che ha sancito ufficialmente l’ingresso degli oblast di Donetsk, Luhansk, Kherson e Zaporizhzhia all’interno della Federazione Russa, è quella che a colpire i due gasdotti siano state forze ucraine o polacche con alle spalle regia e sostegno di Washington.

In questo caso i vantaggi per gli ipotetici responsabili sarebbero molteplici: Kiev aumenterebbe la propria attrattiva nei confronti degli alleati, rappresentando un punto di passaggio cruciale per il gas russo (quello che tutt’ora arriva in Europa passa dalla pipeline ucraina, oltre che dalla Turchia), mentre gli Stati Uniti beneficerebbero ulteriormente del bisogno europeo di gas, con il Vecchio Continente che si troverebbe ancora di più costretto all’acquisto del gas statunitense (che giunge fino a noi in forma liquida, portando con sé costi inevitabilmente maggiori per essere utilizzato).

Un’eventualità, questa, rimarcata dalle dichiarazioni della portavoce della Casa Bianca, Karine Jean-Pierre, all’indomani del sabotaggio dei due segmenti di gasdotto. Secondo Jean-Pierre, infatti, gli Stati Uniti sarebbero subito pronti a «fornire assistenza ai partner europei». La portavoce, durante lo stesso briefing quotidiano con i giornalisti, ha anche sottolineato che «è importante che l’Europa inizi a diversificare le fonti di approvvigionamento di gas guardando anche oltreoceano».

A sostegno di questa tesi c’è anche un video che negli ultimi giorni ha fatto il giro dei social network: durante il discorso in occasione della visita del cancelliere tedesco Scholz alla Casa Bianca, il 7 febbraio 2022 il presidente americano Joe Biden infatti dichiarava che «se la Russia invade l’Ucraina, non ci sarà più nessun Nord Stream 2. Porremo fine a tutto questo» e, rispondendo alle domande di chi chiedeva spiegazioni su quest’ultima affermazione, aggiungeva: «Glielo prometto, saremo in grado di farlo».

Infine, accusando la Russia, americani e ucraini riuscirebbero a separare ancora di più i paesi UE da Mosca, convincendoli ad entrare ancor più direttamente nel conflitto.

 

L’IPOTESI RUSSA

È proprio la Russia, infatti, il responsabile indicato dalle accuse di Washington e Kiev. Anche in questo caso l’obiettivo sarebbe quello di colpire l’UE da un punto di vista economico: causando ulteriore incertezza nel mercato si spingerebbe ad un ulteriore rialzo dei prezzi del gas aggravando la crisi europea.

Ipotesi che, tuttavia, ai più fa storcere il naso: chi farebbe saltare un’infrastruttura di sua proprietà per danneggiare entità terze nei confronti delle quali basterebbe semplicemente chiudere i rubinetti? A maggior ragione considerando il fatto che nei mesi scorsi quegli stessi rubinetti sono andati verso la chiusura senza alcuna necessità di motivare il tutto da parte della Russia auto-sabotandosi.

Gazprom infatti ha già ridotto la capacità di pompaggio del Nord Stream al 20%, motivando una scelta senza dubbio politica in fasi diverse con scuse diverse: prima la manutenzione di una turbina nello stabilimento canadese della società tedesca Siemens (poi trasferita in Germania non senza polemiche riguardo alle sanzioni stabilite nei confronti di Mosca); successivamente una perdita d’olio e, infine, la chiusura del gasdotto a tempo indeterminato. Situazione diversa ma ancora più semplice per Nord Stream 2, completato nell’autunno del 2021 nonostante gli ostacoli posti da USA, Ucraina e Polonia, ma mai entrato in funzione a causa della decisione russa di riconoscere le due Repubbliche del Donbass a fine febbraio e la conseguente sospensione della certificazione da parte di Berlino.