Skip to main content

Un cambio di rotta “inevitabile” per il Cremlino: così si può definire la scelta di Mosca di nominare il Generale Sergey Surovkn al comando delle operazioni in Ucraina subito dopo l’attentato al ponte di Kerch, in Crimea.
L’azione dei servizi segreti ucraini nella penisola ha, di fatto, accelerato quella che senza ombra di dubbio è la transizione verso una guerra “classica e completa”, nell’accezione più vasta del termine.

 

In un conflitto che doveva essere lampo – con l’Ucraina nuovamente nella sfera d’influenza russa, pochi perdite umane ed infrastrutture strategiche risparmiate -, già dopo i primi due mesi il sentore che qualcosa non fosse andato per il verso giusto era nell’aria. E così non sono bastati i 120mila soldati russi, dispiegati su un fronte del Donbass lungo più di mille chilometri, per garantire la conquista del 40% della repubblica di Donetsk ancora in mani di Kiev – evidentemente grazie al sostegno economico e militare, inteso come invio di armi dell’Occidente – e dare quella soddisfazione militare che Putin cerca. Lo stallo ha così permesso a Kiev di puntare sulla controffensiva e sfruttare la mobilità delle truppe riaddestrate in Europa che avevano costretto i russi ad abbandonare la zona di Kharkiv e a ripiegare in quella di Kherson.

 

E qui arriva Surovkn. Soprannominato “Generale Armageddon” per la fredda determinazione con cui strappò dalle mani degli islamisti il controllo dei territori siriani con missili e bombardieri, rappresenta per tutta la sfera russa un ritorno alle tattiche di “terra bruciata” in Cecenia e Afghanistan. Sotto il suo controllo saranno schierati i Sukhoi 24 e 34, caccia-bombardieri russi fino ad ora utilizzati “con il contagocce”, pronti a colpire obiettivi sensibili ucraini come snodi ferroviari, centrali elettriche e di comunicazione.

 

L’obiettivo da soddisfare risiede nel territorio delle Repubbliche – dove fin qui hanno peccato il ministro della Difesa Sergei Shoigu ed il Capo di Stato maggiore Valer Gerasimov -, punto caldo da conquistare definitivamente senza possibilità di colpi di coda dell’esercito di Zelensky. La strategia – pare – già scritta su carta ma per il Cremlino resta l’ostacolo delle armi occidentali, rivelatesi spesso asso nella manica delle armate ucraine.