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Il prossimo 30 ottobre in Brasile si terrà il ballottaggio elettorale fra le due figure che ormai da qualche anno stanno polarizzando la società brasiliana: Luiz Inacio Lula da Silva da un lato, Jair Bolsonaro dall’altro. Il primo turno delle elezioni presidenziali, infatti, si è concluso con Lula, candidato del Partito dei Lavoratori, che ha superato il 48% dei votanti, mentre il presidente uscente, che nel 2021 ha aderito al Partito Liberale, ha ottenuto poco più del 43% dei consensi.

Il contesto sociale brasiliano è quello di un paese spaccato e diviso. Anche durante queste elezioni non sono mancati episodi di violenza politica, come quello riportato dai media locali che ha visto ad Agrovila, nel Mato Grosso, l’uccisione di un sostenitore dell’ex presidente Lula da parte di un elettore di Bolsonaro. Inoltre, ancora una volta, non sono mancate le accuse di fascismo nei confronti dell’attuale presidente da parte della sinistra brasiliana e dalla stampa progressista europea. Quanto, però, Bolsonaro possa essere accostato alla parola fascismo, alla luce di un lavoro di analisi, è alquanto difficile. Infatti, se nella storia del Novecento in Brasile vi è una realtà politica che possa essere avvicinata al fascismo, questa può essere individuata nell’integralismo brasiliano.

Il movimento integralista nacque in Brasile nel 1932 su iniziativa dello scrittore Plinio Salgado, con la formazione dell’Azione Integralista Brasiliana (AIB). L’integralismo, con evidenti somiglianze con la cultura politica fascista, si rifaceva alla dottrina corporativa come soluzione dei problemi sociali e all’opposizione tanto al marxismo quanto al liberal-capitalismo. Nonostante un’iniziale sintonia con il presidente Getulio Vargas, i rapporti fra costui e il movimento di Salgado si guastarono di fronte all’intenzione di Vargas di dare vita a una realtà statale priva della partecipazione dei partiti alla vita politica. Infatti, con il colpo di stato del 1937 da parte di Vargas e la creazione dell’Estado Novo l’AIB fu sciolta, così come tutti gli altri partiti brasiliani. Salgado, pertanto, fu esiliato nel 1939 in Portogallo, ma poté ritornare in patria nel 1946, terminata l’esperienza politica dell’Estado Novo. Successivamente l’integralismo brasiliano, di fronte all’avvento del regime militare che governò il Brasile fra il 1964 e il 1985, si spaccò in numerosi rivoli e vide sia tenaci avversari al regime, come Helder Camara, sia suoi sostenitori come lo stesso Salgado. Ancora oggi l’integralismo brasiliano presenta una forte frastagliatura interna e i due attuali movimenti principali sono il Fronte Integralista Brasiliano e il Movimento Integralista e Linearista Brasiliano.

Per quanto vi siano stati avvicinamenti fra alcuni settori ed esponenti dell’integralismo con Bolsonaro, è difficile pensare che l’agenda politica del presidente brasiliano, intrisa di liberismo, possa essere accostata alla tradizione integralista. Bolsonaro e le sue politiche, in realtà, sono di gran lunga più figli dell’avanzata degli evangelici conservatori in terra brasiliana che non della cultura politica integralista. Gli evangelici sono stati determinanti, infatti, al fine della vittoria di Bolsonaro alle elezioni presidenziali del 2018.

D’altra parte, il filosofo e studioso Alain De Benoist ha posto in passato ben in evidenza come in realtà il presidente brasiliano sia decisamente più un liberale che non un nazionalista, sottolineando l’appoggio a lui fornito dai mercati finanziari, dalle multinazionali come la Monsanto e dai grandi proprietari terrieri. Non è un caso che tuttora il ministro delle finanze sia il liberista Paulo Guedes, allievo di Milton Friedman.

 

Matteo Boniello