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Erano oltre 10 mila secondo le fonti locali i serbi che nella giornata di ieri hanno manifestato nel settore nord di Kosovska Mitrovica, città del nord del Kosovo divisa dal fiume Ibar. All’origine della protesta, condita da slogan nazionalisti e bandiere serbe, l’obbligo di reimmatricolazione delle auto con targa serba, imposto da Pristina nell’ambito di più ampie misure volte a ribadire la sua piena sovranità statale.

Entro il 21 aprile del prossimo anno tutti i cittadini kosovari (inclusa la minoranza serba, appunto) dovranno sostituire la targa della propria auto con quella kosovara che riporta la sigla RKS (Repubblica del Kosovo). Un provvedimento che già dalla fine di novembre prevede multe da 150 euro per chi ancora non abbia provveduto alla reimmatricolazione della propria vettura. Nonostante questo, al momento sono ancora pochissimi i serbi del Kosovo ad aver cambiato targa: in totale sarebbero circa 9 mila le auto con immatricolazione serba presenti in Kosovo.

Ma la questione delle targhe non è la sola ragione alla base delle nuove tensioni in Kosovo, dove è sempre più difficile la convivenza tra la maggioranza del paese, albanese e di religione musulmana, e la minoranza serba ortodossa, legata a Belgrado. Inevitabile, soprattutto, è la collisione tra posizioni e interessi delle due realtà: la Serbia non ha mai riconosciuto l’indipendenza proclamata dal Kosovo nel febbraio 2008, tuttora considerato da Belgrado come una sua provincia meridionale parte integrante del proprio territorio.

Da tempo i serbi del Kosovo, unitamente alla dirigenza di Belgrado, accusano le autorità di Pristina, e in particolare il premier Albin Kurti – politico radicale e su posizioni fortemente antiserbe -, di discriminazione nei loro confronti. Nello specifico l’accusa è quella di mancato rispetto degli accordi presi nell’ambito del dialogo facilitato dall’Unione Europea, a cominciare da quello del 2013 che prevede la creazione di una Comunità delle municipalità serbe in Kosovo. Un organismo che Pristina ritiene contrario alla Costituzione (che vieta le entità monoetniche nel Paese) e una riedizione della Republika Srpska, l’entità a maggioranza serba della Bosnia-Erzegovina, il cui leader Milorad Dodik è nel mirino della comunità internazionale per le sue crescenti aspirazioni secessionistiche.

Sabato i serbi hanno annunciato per protesta il ritiro dei propri rappresentanti da tutte le istituzioni politiche, giudiziarie e di polizia del Kosovo. Un elemento che preoccupa non poco le cancellerie europee, che si sono già attivate per scongiurare nuovi possibili scontri in un momento storico per l’Europa già segnato dal conflitto russo-ucraino. Per cercare di placare gli animi, l’Alto rappresentante Ue Josep Borrell e il ministro degli Esteri italiano Antonio Tajani hanno contattato il presidente serbo Aleksandar Vucic e il premier kosovaro Albin Kurti, invitando al dialogo e alla moderazione.

Tajani si è detto preoccupato e ha invitato le parti alla moderazione e a risolvere ogni problema attraverso il dialogo e il negoziato. «Ho assicurato il nostro impegno per la stabilità nei Balcani» ha detto il ministro riferendo dei colloqui telefonici. Borrell ha invece lanciato un appello a evitare azioni unilaterali che possano creare ulteriore tensioni.

 

+++ Per approfondire cosa sta avvenendo nei Balcani siamo stati con i nostri reporter a Belgrado, GUARDA IL REPORTAGE #BEOGRAD, https://youtu.be/9SCIpzhypRA +++