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«Il conflitto del Nagorno-Karabakh è chiuso per sempre». La recente affermazione del Presidente azero Ilham Aliyev suona come una pietra tombale sul destino dell’Artsakh, oramai pretermesso anche nelle agende della comunità internazionale. Con indubbio piacere dell’Azerbaigian.

L’inerzia – voluta o meno – della comunità internazionale è stata evidente: tavoli diplomatici, vertici, incontri e rimbalzi di responsabilità non sono riusciti ad impedire l’avanzata azera che in poco tempo ha creato le condizioni per una crisi umanitaria che ha colpito e tutt’ora colpisce gli oltre 120 mila armeni dell’Artsakh. Negare il diritto all’autodeterminazione del popolo armeno dell’Artsakh/Nagorno-Karabakh in virtù di una millantata pax – imposta al Paese militarmente ed economicamente meno rilevante – non ha portato ad un esito in grado di stabilizzare l’area, lasciando spiragli aperti a nuove rivendicazioni di Baku.

 

Il discorso del primo ministro armeno al Parlamento UE

Nel suo ultimo discorso al Parlamento Europeo, il primo ministro armeno Pashinyan, ha espresso il suo profondo rammarico per il fatto che la comunità internazionale non sia riuscita ad impedire la pulizia etnica degli armeni nel Nagorno-Karabakh da parte dell’Azerbaigian, nonostante i numerosi avvertimenti. «È deplorevole, estremamente deplorevole che, nonostante centinaia di avvertimenti, le sentenze della Corte Internazionale di Giustizia, le risoluzioni adottate dal Parlamento Europeo, dall’Assemblea Parlamentare del Consiglio Europeo e dai Parlamenti di vari Paesi e gli appelli dei governi, della comunità internazionale, tutti noi non siamo stati in grado di prevenire la pulizia etnica degli Armeni del Nagorno-Karabakh».

Lasciati soli e aiuti irrilevanti. E così oggi, continua Pashinyan, alcuni «fingono ancora di non capire perché gli Armeni del Nagorno-Karabakh hanno abbandonato in massa le loro case».

 

L’esodo di massa degli armeni dal Nagorno-Karabakh

Le tre discussioni sul tema in seno al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite non hanno portato ad alcun risultato pratico e ora il Nagorno-Karabakh ha perso la sua gente. Oltre centomila Armeni hanno lasciato le loro case nel Nagorno-Karabakh nel corso di una settimana, altri ventimila sono stati costretti a lasciare il Nagorno-Karabakh subito dopo la guerra dei 44 giorni, e altri non sono stati in grado di tornare nel Nagorno-Karabakh a causa del blocco azero del Corridoio di Lachin, in corso dal 12 dicembre 2022.

«L’Azerbaigian ha mostrato chiaramente e inequivocabilmente la sua decisione di rendere la vita impossibile agli Armeni nel Nagorno-Karabakh», ha proseguito Pashinyan. Sul da farsi il Governo armeno ha le idee chiare, benché distanti dalle posizioni comprensibili della popolazione. Le proteste di piazza occupano settimanalmente Hraparak, ovvero Piazza della Repubblica a Yerevan, mentre intere famiglie piangono i loro morti sulla collina di Yerablur nel cimitero militare.

 

Il futuro dei rapporti tra Armenia e Azerbaigian

«L’Armenia è pronta a firmare un accordo di pace e di risoluzione delle relazioni con l’Azerbaigian entro la fine dell’anno», conferma Pashinyan al Parlamento Europeo. Per il primo ministro armeno «il fatto che l’Azerbaigian abbia rifiutato di partecipare all’incontro di Granada non ha facilitato il proseguimento dei colloqui. Ma abbiamo un accordo per un nuovo incontro tripartito a Bruxelles. Se i principi discussi con l’Europa saranno ufficialmente riaffermati [ndr. ovvero l’integrità del territorio armeno, Artsakh escluso], diventerà molto realistico firmare un accordo sulla pace e la normalizzazione delle relazioni tra Armenia e Azerbaigian entro la fine dell’anno».

Mentre il Governo di Yerevan ha riaffermato più volte che l’Armenia riconosce l’integrità territoriale degli 86.600 chilometri quadrati dell’Azerbaigian, Baku latita sulle posizioni ufficiali non rilasciando dichiarazioni precise in merito. Solo recentemente Ilham Aliyev ha annunciato di riconoscere «l’integrità dell’Armenia» senza mai menzionare i 29.800 chilometri quadrati stabiliti durante i vertici. Una posizione che dà motivo agli analisti di temere «che in futuro possa avanzare nuove rivendicazioni territoriali contro l’Armenia».