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Le immagini sono esplicite e danno l’idea della brutalità di un conflitto quasi dimenticato nel cuore della giungla. Uomini seduti a terra con le mani legate, volti gonfi di lividi, soldati armati e sorridenti ed infine i corpi massacrati.

In Myanmar (o Birmania che dir si voglia) si combatte senza esclusione di colpi. Per decenni i diversi gruppi etnici del paese hanno cercato di conquistare una propria autonomia armi in pugno, basti pensare ai Karen ma non sono i soli. Oggi, però, dopo il colpo di stato militare del 2021 il livello dello scontro si è alzato in tutto il paese, con focolai di rivolta diffusi e animati da forze ribelli quanto più disparate, ma tutte unite dall’obiettivo di sconfiggere la giunta militare alleata della Cina.

Durante uno degli ultimi scontri tra ribelli e forze governative, sul campo di battaglia tra capanne distrutte e corpi riversi al suolo è rimasto anche il cellulare di un soldato governativo, che una volta aperto ha rivelato immagini crude di una guerra che non risparmia nessuno.

Provincia di Sagaing, mese di maggio. Nelle foto sullo smartphone si possono vedere distintamente le fasi dell’azione che ha portato all’esecuzione di alcune decine di persone catturate nel villaggio di Mon Taing Pin.

Le forze governative attaccano ed eliminano immediatamente due sentinelle ribelli della People Defence Force (PDF), successivamente legano gli abitanti ed infine si scattano foto e selfie con i corpi di coloro che sono stati ritenuti colpevoli di “collaborazione” con le forze ribelli.

Secondo i segni sui fucili visibili nelle immagini, le truppe appartenevano al 708esimo battaglione di fanteria leggera di Yangon.

Le violenze sui civili da parte dell’esercito hanno già portato il governo statunitense a sanzionare l’anno scorso la 33a divisione di fanteria leggera della giunta militare e la 77a divisione di fanteria leggera dell’esercito del Myanmar per la forza eccessiva e le uccisioni in seguito al loro dispiegamento a Mandalay e Yangon.

La 33a è stata anche l’obiettivo delle sanzioni statunitensi nel 2018 per gravi violazioni dei diritti umani contro il popolo di etnia Rohingya, durante l’operazione militare che ha costretto più di 740.000 persone a fuggire attraverso il confine verso il Bangladesh.