Solamente rimandata l’operazione della polizia del Kosovo, originariamente prevista per la mezzanotte del primo agosto, che ha l’obiettivo di vietare l’ingresso ai cittadini con documenti di identità rilasciati dalla Serbia.
L’entrata in vigore del divieto era stata annunciata dalle autorità kosovare ed è stata ora rinviata al 1 settembre: da quella data i documenti emessi dalla Serbia potrebbero non essere più validi. Allo stesso tempo, Pristina dovrebbe iniziare la reimmatricolazione obbligatoria dei veicoli con targa serba, che interesserà i cittadini serbi nella parte settentrionale del Kosovo e diverse altre città.
Dopo l’annuncio da parte delle autorità del Kosovo, il ministro degli Esteri serbo Nikola Selakovic aveva bollato l’annuncio come un tentativo di creare “l’inferno” per la minoranza serba che tutt’ora vive in Kosovo e che, dalla fine della guerra nei Balcani degli anni ’90, abita in “enclave” separate rispetto alla maggioranza mussulmano/kosovara.
«Hanno schierato in anticipo le loro unità con 21 tonnellate di carburante e tutto il necessario ai valichi amministrativi di Jarinje e Brnjak con l’intenzione di fermare tutti coloro che hanno documenti personali serbi» aveva dichiarato il presidente serbo Aleksandar Vucic in un discorso rivolto ai cittadini, esortando poi le autorità del Kosovo a “tornare in sé” e i serbi in Kosovo ad evitare di cedere alle provocazioni o di fare qualsiasi cosa che possa portare a un conflitto. «Se si verificasse davvero un conflitto – aveva tuttavia precisato Vucic – la Serbia ne uscirà vittoriosa».
A fermare momentaneamente il divieto di documenti e targhe serbe ci hanno pensato una notte di tensioni e l‘intervento diplomatico di Unione Europea e Stati Uniti: l’autorità kosovara è stata costretta a rinunciare ad applicare immediatamente la “stretta” sulla minoranza serba che vive nel paese. Il capo della diplomazia europea, Josep Borrell, ha elogiato il rinvio al 1 settembre e ha chiesto “l’immediata rimozione di tutti i blocchi stradali”.
Nella serata del 31 luglio centinaia di serbi del Kosovo avevano infatti ammassato camion, autocisterne e altri veicoli pesanti sulle strade che portano ai valichi di Jarinje e Brnjak, tanto da far intervenire la polizia kosovara e far registrare alcuni colpi d’arma da fuoco.
Le tensioni sul confine tra Serbia e Kosovo, però, non possono essere derubricate ad una semplice questione di passaporti e targhe di autoveicoli. Nel cuore dei Balcani, dallo scoppio della guerra in Ucraina, sono tornati a soffiare con forza i venti di odio che dagli anni ’90 non si sono mai davvero sopiti.
La Serbia, per motivi storici e geografici, è un paese in bilico tra Unione Europea e Russia. L’aumento del pressing da parte delle autorità kosovare sulla minoranza serba che vive nel paese ma è “tutelata” dal governo di Belgrado è un gioco che sfrutta il momento di tensione geopolitica tra Occidente e Mosca, ma rischia di rivelarsi pericoloso e riaccendere il fuoco del conflitto etnico religioso. Serbi contro kosovaro-albanesi, cristiani contro musulmani. Filo-russi contro filo-americani.