Alla centrale nucleare di Zaporizhzhia, anche in caso di bombardamento diretto da parte dell’esercito ucraino, «un’ipotesi Chernobyl non è replicabile». È quanto riferito da Marco Ricotti, professore ordinario di impianti nucleari al Politecnico di Milano e dall’ingegnere Alessandro Dodaro, direttore del Dipartimento fusione e sicurezza nucleare dell’Enea, intervistati in proposito da “Agenzia Nova“.
Secondo i due esperti, dopo l’incidente alla centrale di Chernobyl nel 1986 ed il più recente disastro di Fukushima, nel 2011, la sicurezza degli impianti nucleari nel mondo sarebbe notevolmente aumentata e non basterebbe qualche missile sfuggito al controllo per comprometterne l’integrità. In ogni caso, ha precisato Ricotti, l’eventuale fuga radioattiva si limiterebbe a poche decine di chilometri dalla centrale.
Una posizione condivisa anche da Dodaro, che ha detto: «Se si decide di bombardare la centrale, volendola colpire intenzionalmente, ci potranno essere dei rilasci radioattivi. Il reattore ha un contenitore d’acciaio di 6 centimetri, e quindi molto resistente, ma bombardandolo intenzionalmente è chiaro che questa protezione non sarebbe sufficiente. Tuttavia, anche in questo caso, i rilasci si ridurrebbero a pochi chilometri intorno alla centrale».
Inoltre, il generale Igor Kirillov, comandante delle forze di difesa dalle radiazioni, dalle armi chimiche e biologiche della Federazione Russa ieri ha fatto sapere che se i bombardamenti messi in atto dall’Ucraina contro la centrale proseguiranno, potrebbe essere presa in considerazione la disattivazione delle unità di potenza numero 5 e 6, che causerebbe lo spegnimento dell’impianto.
«Con una centrale spenta ci sarebbe ancora qualche rischio residuo – ricorda Ricotti – Una centrale spenta è molto meno problematica rispetto a una centrale in piena potenza, ma bisognerebbe comunque mantenere raffreddato il combustibile del reattore così come nelle piscine di stoccaggio del combustibile esaurito». La stessa posizione è stata espressa da Dodaro: «I pericoli diventano ancora più bassi qualora la centrale dovesse essere spenta. Quando una centrale è in funzione avviene una certa produzione di elementi di fissione, ovvero dei gas che sono contenuti all’interno degli elementi di combustibile. Un eventuale bombardamento con possibile fusione del nocciolo farebbe sì che questi gas potrebbero fuoriuscire e depositarsi nelle zone limitrofe. Spegnendo la centrale il rischio sarebbe ancora minore». Inoltre, secondo l’ingegnere, «lo spegnimento di una centrale nucleare sarebbe estremamente rapida come procedura».
Ricotti ha anche smorzato sulla possibilità, qualora la centrale venisse colpita dai missili ucraini, di una propagazione delle sostanze radioattive fino a raggiungere Polonia, Germania e Slovacchia. «Ci sono un sacco di “se” da mettere davanti, in caso di un incidente severo con danneggiamento diffuso del combustibile e penetrazione, un eventuale dispersione di radioattività, come si è visto a Chernobyl, ma soprattutto a Fukushima, coinvolgerebbe un’area nell’intorno della centrale all’incirca di venti o trenta chilometri. Che era la zona ritenuta pericolosa che fu fatta evacuare ai tempi di Fukushima, tra l’altro con qualcuno che dubitava della necessità di evacuare le persone di quella zona. La ricaduta di materiale radioattivo in quantità seria – sottolinea il docente del Politecnico di Milano – sarebbe nell’intorno di poche decine di chilometri dalla centrale. Che ci sia radioattività che possa andare in giro e che possa essere monitorata ed evidenziata da rilevatori questo è abbastanza facile poiché la radioattività si rileva molto bene anche a notevole distanza, nel caso di rilasci, però questo non significherebbe un problema».
Gli avvisi di non mangiare la verdura ai tempi di Chernobyl, insomma, sarebbero un lontano ricordo. «Le centrali ucraine sono di alta tecnologia rispetto a quello di Chernobyl – evidenzia ancora Ricotti – sono molto più simili alle centrali europee, statunitensi e sudcoreane. Sono tecnologie diverse, raffreddate ad acqua con – dettaglio fondamentale – un contenitore di sicurezza per evitare il rilascio all’esterno di radioattività, un elemento che non era presente a Chernobyl».
Ma intorno alla centrale di Zaporizhzhia, la più grande d’Europa e tra le 10 più grandi al mondo, si continua a combattere lo scontro propagandistico delle due nazioni in guerra: nonostante la centrale sia sotto il controllo stabile di Mosca, il che renderebbe improbabile qualsiasi responsabilità russa nei bombardamenti, Kiev continua ad accusare Mosca per gli attacchi diretti all’impianto. Nonostante sia nota come Centrale nucleare di Zaporizhzhia tuttavia, il capoluogo della regione da cui prende il nome si trova a circa 50 chilometri da essa. Attualmente la località di Energodar (che ospita la centrale) e Zaporizhzhia sono divise non solo dal fiume Dniepr, ma anche dalla linea del fronte: il capoluogo è sotto il controllo di Kiev, mentre Energodar è saldamente in mano all’esercito russo dal 3 marzo e viene costantemente bombardata dall’esercito ucraino.
Un ultimo fronte è quello diplomatico: nonostante l’offerta fatta dal ministro della Difesa russo Sergej Šojgu all’Aiea, l’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica, di fornire immagini in alta definizione per dimostrare che non ha dislocato armamenti nei pressi della centrale nucleare, il presidente ucraino Volodymyr Zelenskyy continua nel tentativo di dettare le proprie condizioni. Zelenskyy ha infatti concordato con il Segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres, i parametri di una possibile missione dell’Aiea a Zaporizhzhia. La missione, si legge in una nota pubblicata sul sito della presidenza ucraina, «deve essere condotta in modo legale in un territorio libero dagli occupanti». Una condizione chiaramente insostenibile per Mosca, che attualmente detiene il controllo della centrale.