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La vittoria del centrodestra alle elezioni di domenica 25 settembre ha scosso gli animi delle istituzioni europee e della grande stampa estera. I commenti, le ingerenze e le condanne degli scorsi giorni non hanno, comunque, impedito al centrodestra di serrare le fila e di preparare quello che sarà, salvo gli imprevisti dell’ultimo minuto, il primo Governo Meloni. Ora, a mente fredda, occorre provare a squarciare il velo della propaganda e a fornire un’analisi obiettiva relativamente al risultato elettorale e agli autentici colori politici della nuova maggioranza.

 

LE REAZIONI DELLA STAMPA ESTERA

Quando alle ore 23:00 del 25 settembre scorso i sondaggi hanno trovato negli exit poll le proprie conferme, una tempesta di invettive e di allarmi si è abbattuta nella carta stampata e nei televisori di ogni italiano. Il colosso americano Cnn indicava la vittoriosa Giorgia Meloni come la possibile «premier più a destra dai tempi di Mussolini»; la britannica Bbc raccontava della «estrema destra verso la vittoria delle elezioni»; il New York Times descriveva Giorgia Meloni come una «leader di estrema destra con radici post fasciste»; l’agenzia France Presse registrava prontamente «Il partito post-fascista di Giorgia Meloni in testa»; il Washington Post intravedeva addirittura l’Italia avviata a un “esito rivoluzionario” e prossima preda di un “governo più a destra dalla caduta di Mussolini”.

«Per la prima volta dalla Seconda Guerra Mondiale – la spiegazione offerta da Bild – il Paese avrà di nuovo, con ogni probabilità, un governo di destra nazionale. Un risultato storico, Meloni diventa la prima presidente del Consiglio donna d’Italia mentre la preoccupazione dilaga a Bruxelles e nelle capitali. Fratelli d’Italia è successore di un partito fondato dai fascisti. Meloni viene criticata dai suoi avversari politici per il fatto di non aver mai pienamente preso le distanze dal fascismo».

 

I COMMENTI DEL MONDO POLITICO OCCIDENTALE

In questa cornice di drammi e allarmi hanno trovato spazio anche i commenti delle istituzioni internazionali e degli avversari politici di Fratelli d’Italia. Per l’ex presidente del Parlamento europeo, Martin Schulz, quella di domenica 25 settembre non è stata «una buona giornata per l’Europa». «La scarsa affluenza – ha aggiunto – alle urne, che in primo luogo ha reso possibile lo spostamento a destra, è deludente». «Saremo attenti – il commento meno sconfortato del primo Ministro francese Elisabeth Boone – con la presidente della Commissione europea (Ursula Von Der Leyen), affinché i valori sui diritti umani, sul rispetto reciproco, in particolare sul diritto all’aborto, siano rispettati da tutti». Per il ministro degli Esteri spagnolo José Manuel Albarès l’attuale periodo storico è ormai fatalisticamente determinato: la vittoria del centrodestra italiano si colloca, infatti, in «un momento di incertezza e – seguendo le sue parole – nei momenti di incertezza, i populismi acquistano sempre importanza e finiscono sempre allo stesso modo: in catastrofe, perché la loro risposta è sempre la stessa: chiudiamoci in noi stessi e torniamo al passato». Anche il presidente statunitense Joe Biden, in maniera ufficiosa e nei giorni successivi all’apertura delle urne, ha lanciato un monito sul destino della democrazia: «avete appena visto cosa è accaduto in Italia in quelle elezioni. Vedrete cosa accadrà nel mondo». «La ragione – ha proseguito Biden riferendosi alle prossime elezioni americane fissate per il prossimo 2024 – per cui mi preoccupo di dire questo è che non potete essere ottimisti neppure su cosa accadrà qui».

 

LO SPETTRO DI “QUALE” FASCISMO?

Nonostante il duello di dichiarazioni e le prese di posizione, appare però chiara ad un occhio attento la necessità sbaragliare il campo da ogni dubbio e domandarsi rispetto a quale “fascismo” venga suonato l’allarme. Per utilizzare la celebre distinzione di Renzo De Felice sono maggiormente temute le istanze politiche e ideologiche del “fascismo regime” o quelle del “fascismo movimento”? Più specificamente, il riferimento è rivolto al fascismo delle origini, a quel piccolo movimento della sinistra interventista intriso di illuminismo, giacobinismo, anticlericalismo, dannunzianesimo e filosofia vitalistica? Oppure al fascismo della dittatura simbolicamente inaugurata da Mussolini con il discorso del 3 gennaio 1925 e originata dal compromesso tra lo stesso Mussolini, la fronda antisocialista dei ras più estremisti, la monarchia, i grandi industriali, gli ambienti ecclesiastici e una parte della classe dirigente liberale? In campo economico è maggiore la preoccupazione per la rivisitazione del fascismo del 1922-1929, delle misure liberiste e autoritarie attuate da Alberto de’ Stefani e dagli altri fiancheggiatori liberali oppure per la ricomparsa di un fascismo come quello degli anni 1929-1939, periodo nel quale Alberto Beneduce diede impulso all’intervento dello Stato in economia e pose le premesse per quella modernizzazione e per quel welfare che trovarono definitivamente un proprio compimento negli anni successivi (anche dopo il crollo del regime)? Forse, sempre implicitamente, lo spettro del fascismo possiede in realtà le sembianze della Repubblica Sociale Italiana e aspira alla socializzazione delle imprese? Oppure i timori sono legati alla ricomparsa di un fascismo di carattere europeo come quello vagheggiato da alcune minoranze intellettuali durante la guerra e negli anni successivi? Professionisti dell’informazione, tecnici e profili istituzionali “antifascisti” e “difensori” dell’attuale democrazia difficilmente saprebbero rispondere agli interrogativi sollevati e forse, ancor prima, difficilmente avrebbero piena cognizione dei termini, dei concetti e dei personaggi citati.

 

IL PERCORSO POLITICO DI FRATELLI D’ITALIA

Al di là delle pedanti questioni ideologiche, terminologiche e storiche, lo spettro del fascismo rivela tutta la sua fumosità di fronte al percorso politico di Fratelli d’Italia. Il partito di Giorgia Meloni nasce nel 2012, elegge la propria leader a presidente del 2014 e dà avvio a un lungo percorso politico. Immediatamente emergono sia la volontà di acquisire una credibilità di governo, una struttura di carattere nazionale e un’identità conservatrice e liberale sia le prime difficoltà, ossia la concorrenza del fronte populista e antisistema (in particolare la propaganda di Matteo Salvini) e la fatica a raccogliere consensi fuori Roma, città della Meloni e culla dello stesso partito. Già in occasione della campagna elettorale per le elezioni del marzo 2018 Fratelli d’Italia respinge le tentazioni più euroscettiche (ad esempio l’uscita dalla moneta unica) e colloca la propria linea su posizioni atlantiste. Non è casuale, in tal senso, la progressiva partecipazione della Meloni agli eventi dell’Aspen Institute, associazione di origine americana nella quale fanno parte anche Romano Prodi, Mario Monti e Giulio Tremonti. Nel settembre 2020 la leader di FdI diventa presidente del partito dei Conservatori e riformisti europei e nel febbraio 2021 aderisce ufficialmente all’Aspen Institute. Sancisce definitivamente l’identità liberale e conservatrice di stampo anglo-americano del partito il congresso avvenuto a Milano alla fine di aprile dell’anno corrente. Nell’occasione vengono individuati i propri “filosofi padri” in Friedrich von Hayek e Ludwig von Mises, due autori liberali, sostenitori del libero mercato e del vigente ordinamento politico e valoriale, e vengono sostanzialmente rinnegati i vari D’Annunzio, Corridoni, Pareto, Marinetti, Gentile, Sorel, Rocco, Pellizzi, Spirito, Evola, Oriani, Corradini, Accame, ossia i vari esponenti delle altre destre di stampo sociale, post-fascista, eversiva, nazionalista e tradizionalista.

 

LA CONTINUITÀ CON I PRECEDENTI ESECUTIVI

A uscire vittorioso dalle urne, di conseguenza, non pare essere stata la reincarnazione del fascismo ma la nuova versione italiana di un partito conservatore, sicuramente critico verso l’estensione dei diritti civili e l’immigrazionismo ma, allo stesso tempo, perfettamente inserito nell’alleanza atlantica e nell’attuale ordinamento economico, etico e politico di marca liberale. Lo stacco di venti punti percentuali tra l’attuale cifra raggiunta da Fratelli d’Italia e il risultato delle elezioni del 2018 rappresenta, sostanzialmente, un bacino di voti dinamico, attualmente affezionato alla Meloni, ieri ammaliato da Salvini, l’altro ieri rivolto verso il Movimento Cinque Stelle e nel 2014 verso il vecchio Partito Democratico di Matteo Renzi. Il voto specifico del 25 settembre, più che determinare il ritorno dello spettro del fascismo o del Medioevo, è espressione del generale malcontento verso l’“Agenda Draghi”. In questa cornice trovano spiegazione sia il trionfo di Fratelli d’Italia sia la discreta tenuta del Movimento Cinque Stelle, rispettivamente il partito dell’opposizione e il membro più ambiguo e meno fedele al governo Draghi. Proprio l’ex premier dimissionario ha, in qualche modo, anticipato la visione qui delineata lo scorso 25 agosto, quando ha rassicurato il mondo intero che «chiunque verrà eletto saprà preservare lo spirito repubblicano e riuscirà a superare quelle difficoltà che oggi appaiono insormontabili, come le abbiamo superate noi l’anno scorso». Anche le borse della giornata successiva alla chiusura delle urne hanno confermato la linea di continuità tra l’Italia del prima e del dopo rispetto la tornata elettorale: Piazza Affari ha registrato una leggera risalita (+0,13%) e lo spread si è mantenuto abbastanza stabile (4 p.b. in più rispetto ai 233 della chiusura di venerdì) – un panorama assolutamente privo di quegli scossoni avvenuti nel 2018, quando l’incertezza del voto e l’euroscetticismo della Lega e del M5S “provocarono” la quasi triplicazione dello spread. È rilevante, su questa linea d’onda, citare anche l’immediato scambio di tweet avvenuto tra la Meloni e Zelensky nei giorni scorsi. Ora la palla passa a Sergio Mattarella, un Capo dello Stato intransigentemente europeista e poco incline al compromesso e all’accondiscendenza. Il Presidente della Repubblica, d’altronde, è lo stesso che nel 2018 ha posto un veto alla designazione di Paolo Savona al ministero dell’Economia e che, di conseguenza, ha rinnegato la propria funzione superpartes. Non stupiscono, pertanto, le parole di stizza rivolte recentemente contro le ingerenze del primo Ministro francese Boone – «L’Italia sa badare a sé stessa nel rispetto della Costituzione e dei valori dell’Unione europea».

LPC