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Nelle scorse settimane nel nord del Kosovo è esplosa una nuova protesta che ha visto la popolazione serba schierarsi contro la polizia kosovara dei comuni di Zubin Potok, Zvečan e Leposavic. A scatenare la rivolta sono state le recenti «elezioni farsa», così definite a più riprese dai manifestanti, nei tre comuni; un casus belli avvallato anche dai dati della Commissione elettorale centrale del Kosovo, CEC, secondo cui si sarebbero recati alle urne solo il 3,47% delle persone aventi diritto al voto. La manifestazione è ben presto sfociata nella violenza, con la polizia kossovara che – per disperdere i manifestanti – ha usato anche i gas lacrimogeni.

Abbiamo intervistato Milan, un giovane serbo che vive in Kosovo, da anni attivo in associazioni culturali e umanitarie, per chiarire alcuni aspetti cruciali di quella che sembra una nuova stagione calda dei Balcani.

 

La polizia kosovara ha usato violenza nel placare le manifestazioni?

«È vero. Il 26 maggio la polizia, in diverse occasioni, ha lanciato gas lacrimogeni e usato violenza contro le persone che difendevano l’occupazione dei comuni del nord. A testimoniarlo ci sono anche numerosi video».

Le forze NATO della Kfor che atteggiamenti hanno avuto nei confronti della popolazione serba durante le proteste?

«Le proteste stanno proseguendo ma il rapporto tra i serbi e la KFOR è disteso. Il problema qui non sono le forze Nato e i serbi, ma l’occupazione violenta degli edifici municipali da parte della polizia speciale del Kosovo».

In questi giorni la Kfor sta potenziando le sue truppe con un battaglione di 500 uomini in arrivo dalla Turchia, mentre la Serbia ha inviato l’esercito al confine, si teme un conflitto armato?

«Nessuno lo sa. Sappiamo però per certo che la Serbia non permetterà di nuovo l’espulsione dei serbi dal Kosovo e il ripetersi delle scene del pogrom del marzo 2004. Nessuno sa cosa si potrebbe inventare Kurti. Il pericolo esiste finché il governo di Pristina intraprende azioni unilaterali e non rispetta gli accordi».

Nel mentre Ue e Usa hanno inviato due diplomatici per raggiungere un accordo di de-escalation, secondo voi Albin Kurti è disposto al dialogo per trovare un accordo?

«Gli accordi sono già stati raggiunti a Bruxelles nel 2013 e nel 2015, a Washington durante il periodo di Donald Trump e, più recentemente, a Ohrid. Il problema è che Albin Kurti e il suo governo non onorano gli accordi e impediscono la formazione della Comunità dei comuni serbi».

In occasione del vertice della Comunità Politica Europea a Chisinau, l’Alto Rappresentante per gli Affari Esteri dell’Ue Josep Borrell, il presidente francese Macron e il cancelliere tedesco Scholz si sono incontrati con Vucic e Vjosa Osmani per chiedere nuove elezioni nelle quattro municipalità, è possibile che si darà seguito a queste indicazioni per calmare le proteste e dare una giusta rappresentanza ai cittadini di etnia serba?

«I serbi hanno boicottato le precedenti elezioni e hanno lasciato tutte le istituzioni del Kosovo, dimettendosi in massa. I serbi aderirono alle istituzioni a condizione che si formasse l’Unione dei comuni serbi, come meccanismo di tutela dei diritti collettivi della popolazione serba, sempre secondo quanto previsto dall’accordo del 2013. Dopo dieci anni si sentono presi in giro e sicuramente non parteciperanno alle elezioni se gli accordi sottoscritti saranno ancora violati e non rispettati».

La comunità internazionale chiede al Kosovo di “garantire l’armonia tra i gruppi etnici”, pensi che le autorità si muoveranno verso questa direzione?

«No, non ci credo. Autodeterminazione, il partito di Albin Kurti, così come lui, è salito al potere con la violenza. Dalle innumerevoli proteste violente a Pristina, al lancio di gas lacrimogeni nell’assemblea, fino al ribaltamento di un camion con merci serbe, sono la dimostrazione di cosa rappresenta Albin Kurti da quando era all’opposizione. L’Occidente era convinto che una volta salito al potere si sarebbe fermato e si sarebbe europeizzato. È ovvio che ha ingannato i suoi mentori e ora sono molto dispiaciuti».

Vi sentite tutelati da Belgrado o pensate che sia necessario un impegno diplomatico maggiore rispetto a quanto fatto fino ad ora?

«Naturalmente, ma sono necessari maggiori sforzi diplomatici. Ci sentiamo protetti nella misura in cui è attualmente possibile. Ci aspettiamo una maggiore protezione dalla KFOR. Ma di una cosa siamo sicuri, che se gli albanesi inizieranno un’altra violenza e pulizia etnica come nel 2004, e qualora la KFOR non fosse in grado di proteggerci Belgrado non resterà a guardare. Tutto, ovviamente, nel corretto coordinamento con i partner internazionali».

 

Raffaele Bonsi