Skip to main content

Il 1° ottobre, l’Iran ha condotto il suo secondo attacco missilistico di grande portata contro Israele dall’inizio dell’anno, lanciando circa 180 missili balistici.

Diversamente dall’attacco di aprile, che aveva coinvolto principalmente missili a combustibile liquido derivati da modelli Scud più vecchi, come il missile Emad, questa volta sono stati impiegati anche missili a combustibile solido, lanciati da diverse basi iraniane, inclusa quella di Tabriz.

Gli obiettivi dell’attacco iraniano

Situazioni simili, ma con impieghi di mezzi differenti: da un lato si può parlare di una vera e propria evoluzione delle tecnologie missilistiche di Teheran, dall’altro è chiaro che l’obiettivo fosse inviare un segnale forte al governo israeliano.

Tra gli obiettivi dichiarati dall’Iran figuravano le “installazioni radar di difesa aerea israeliana”, le basi aeree di Nevatim e Tel Nof, e il quartier generale del Mossad a Glilot.

Di questi, l’attacco a Glilot sembra essere stato il meno efficace, con solo due impatti registrati, uno dei quali a 520 metri dall’edificio principale.

Le conseguenze dell’attacco: danni significativi alle basi di Nevatim e Tel Nof

Gli attacchi alle basi aeree di Tel Nof e Nevatim sono stati decisamente più rilevanti.

Nonostante la mancanza di immagini dirette di Tel Nof, alcuni filmati sui social media hanno mostrato esplosioni secondarie, suggerendo che alcuni missili abbiano effettivamente colpito obiettivi di rilievo.

Le immagini satellitari della base di Nevatim, scattate da Planet Labs, mostrano almeno 33 crateri da impatto, con la possibilità di ulteriori danni ancora non visibili a causa della copertura nuvolosa.

L'immagine satellitare che mostra la totalità degli impatti dei missili iraniani sulla base di Nevatim

Impatto mirato sui bersagli militari israeliani

Secondo alcune stime, la base di Nevatim sarebbe stata colpita da circa 40 testate iraniane, inclusi impatti su sentieri, strade e zone militari desertiche.

La valutazione dei danni basata sulle immagini satellitari suggerisce che l’Iran potrebbe aver preso di mira aree specifiche e, di conseguenza, obiettivi mirati.

Alcune sezioni della base, come un edificio di supporto e un hangar utilizzato per la manutenzione, hanno subito danni secondari.

I rifugi degli F-35 sono stati per lo più risparmiati da danni significativi, sebbene uno di essi sembri aver subito un impatto, forse da una testata inesplosa o grazie alla robustezza delle strutture.

La difesa aerea di Israele: dubbi sulla sua efficacia dopo l’attacco iraniano

L’attacco iraniano ha sollevato interrogativi sull’efficacia della difesa aerea di Gerusalemme.

Nonostante l’impiego di numerosi intercettori, oltre 30 missili hanno colpito la base di Nevatim, un numero significativamente più alto rispetto agli impatti su Glilot.

Questo dato apre a due possibili interpretazioni: Israele potrebbe aver dato priorità alla protezione del quartier generale del Mossad, situato vicino a un’area urbana, oppure il sistema difensivo, come l’Iron Dome, potrebbe essere stato saturato dal volume di missili diretti sulla base.

Conclusioni: capacità missilistiche e risposta israeliana

In conclusione, l’attacco iraniano ha dimostrato la capacità di Teheran di colpire Israele, seppure con limiti tecnici legati alla distanza e alla precisione dei missili.

Israele ha cercato di minimizzare l’impatto, esortando la popolazione a “non divulgare immagini o dettagli sui danni” per non fornire “informazioni utili al nemico”.

I danni osservati tramite immagini satellitari, sebbene tangibili, non sono stati devastanti: molti missili hanno mancato i bersagli principali, colpendo aree meno critiche, come le vie di rullaggio, che risultano in gran parte già riparate.